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Sab, Mar
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Dell’arte, si sa, è facile goderne, difficile è parlarne. Commentare la nuova opera scultorea “La donzelletta”, del maestro Telemaco Tucci, richiede, quindi, una buona dose di umiltà ed un grande amore per questo nobile mestiere, frutto di talento ed ingegnosità. La sopracitata creazione artistica vuole essere un omaggio al grande poeta recanatese Giacomo Leopardi, ed è stata commissionata appositamente per la rassegna artistico-letteraria“Il sabato del villaggio”. La statuina, disegnata con cura, brilla di luce propria.
Si rimane subito colpiti dalla figura stilizzata della giovane donna, il cui profilo è indefinito proprio per dare la possibilità ad ognuno di noi di riconoscersi in lei. Lunghi capelli castani le incorniciano il volto, dolcezza che propaga al suo cuore nell’atto di stringere al petto un mazzetto colorato di rose e viole.
La figura femminile, protagonista di molte opere del maestro Telemaco Tucci, proposta nella forma rigida di un manichino dai colori vivaci ed uniformi, viene collocata in uno spazio immobile, pacato, senza tempo. Forse sta a simboleggiare l’attesa che, come descrisse magistralmente il grande poeta, è spesso illusoria. Anche il momento più lieto, infatti, lo si percepisce con un velo di tristezza. Ogni cosa porta con sé il marchio dell’effimero, regna la consapevolezza della caducità della vita.
Le opere realizzate da Telemaco Tucci si rivelano sempre ricche d’inventiva, sono creazioni che suggeriscono racconti senza tempo. A volte provengono da uno spazio lontano, da ere che non ci appartengono ma che custodiamo animalescamente dentro di noi. Le sue creazioni ci convincono. Attendiamo dalla sua mente e dalle sue mani altri successi.

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Dolceacqua, situato sulle colline dell’entroterra ligure, tra Ventimiglia e Bordighera, a pochi chilometri dal confine con la Francia, è un bellissimo borgo medioevale, una vera e propria oasi di pace dominata dal silenzio dei “caruggi” (vicoli stretti). Nel tipico paesino, che conta meno di 2000 abitanti, si respira un’aria medievale, complice il castello Doria che si erge in una posizione dominante rispetto alla vallata. Lo si raggiunge fra pittoresche viuzze, cantine vinarie e tipiche botteghe artigianali. La fortezza ospita una ricca mostra che racconta la storia di due grandi famiglie, i Doria e i Grimaldi ed è sede di manifestazioni ed eventi culturali che si tengono durante l’anno.
Il Ponte Vecchio di Dolceacqua, che unisce la parte vecchia del paese (chiamata “Terra”) a quella più moderna (chiamata “Borgo”), è un capolavoro di armonia e di eleganza”. Lo stesso Claude Monet, pittore impressionista francese, ne rimase affascinato e decise di dipingerlo, soprannominandolo “un gioiello di leggerezza”.
Benchè il borgo medioevale sia piuttosto piccolo, sono numerosi gli edifici religiosi da visitare: seguendo le stradine in pietra si giunge alla Chiesa di Sant’Antonio Abate, che accoglie al suo interno il Polittico di Santa Devota. Vi è poi la Chiesa di San Bernardino, famosa per i suoi affreschi medioevali; la Chiesa di Sant’Agostino, che risale al 1600 ed ospita antiche statue; l’oratorio di San Giovanni Battista è una pinacoteca piena di quadri; la Chiesa di San Giorgio, edificata nell'XI secolo, custodisce dentro una cripta i resti di alcuni membri della famiglia Doria.
Dolceacqua è ricca, inoltre, di botteghe di artisti, di artigianato, di odorose cantine e di negozi di prodotti tipici. Tanti sono i ristorantini dove mangiare e numerosi sono i bad&breakfast dove alloggiare.
Altra cosa interessante sono i portali delle case situate nel centro storico, lavorati in pietra nera locale. Sono di tipo religioso, nobile o allegorico. Gli stemmi di origine napoleonica conservano tutto il loro fascino. In via Dietro la Colla vi è un casolare dall’aspetto sinistro: secondo la leggenda qui si davano appuntamento le streghe per le loro opere malefiche.
Per quanto riguarda la produzione locale spicca senza dubbio il rossese, vino rosso dal sapore morbido e vellutato, degustabile in tutte le trattorie sparse tra i "caruggi". 

Il ponte vecchio nel dipinto di Monet

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Mi chiamo Rosario Cascone, sono nato a Pagani nel 1955 ma vivo fin dalla nascita ad Angri in provincia di Salerno dove vivo attualmente con la mia famiglia.

Ho due figli, Elvira e Michele, ed una meravigliosa nipotina di nome Ginevra ai quali ho dedicato una poesia.

Dal 1980 al 2020 sono stato in servizio presso il Comando di Polizia Municipale di Angri, dove ho ricoperto per diversi anni anche il ruolo di Comandante.

Scrivere poesie è una passione che mi porto dentro fin dalla mia adolescenza che fino al mio pensionamento ho condiviso solo con una penna ed un diario.

A marzo 2022 ho pubblicato edito dal Centro Iniziative Culturali di Angri una raccolta di poesie intitolata “Tentativi di Poesie attraverso me “, una raccolta di poesie che non ha un filo conduttore, ma non si discosta molto dalla vita vissuta.

Dopo la pubblicazione del libro ho iniziato a partecipare a vari concorsi letterari, intraprendendo un nuovo cammino che mi ha portato in un mondo che avevo vissuto solo come lettore e che ora sto vivendo anche come autore, ricevendo diversi premi.

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ROGLIANO - L’artista Sandro Sottile farà parte dell’ambizioso progetto musicale “L’Italia in dialetto”, un tour artistico che lo vedrà protagonista, in questa stagione, nei maggiori teatri italiani e nei luoghi di culto, nel rispetto delle norme vigenti legate al Coronavirus.
Gli autori del progetto sono Antonio Nicola Bruno (Compositore, cantante, musicista) ed Enzo La Gatta. Collaborano, insieme a Sottile: Tony Cercola (Percussionista, scrittore, musicista) e Carlo Faiello (Cantautore, compositore). Da sottolineare la partecipazione di Peppe Lanzetta (Drammaturgo, attore e scrittore).
Sottile, che da qualche lustro si occupa di musica e canti popolari, si è detto soddisfatto per questa nuova importante opportunità.
Ed è proprio da questi momenti musicali che è nata la collaborazione con i sopracitati esponenti della musica popolare: musicisti dediti alla riscoperta delle musicalità e sonorità meridionali, che hanno in comune l'amore per la musica etnica, per i dialetti, per la tradizione, per i ritmi incontrastati della tarantella del Sud, che vede, sempre di più, accostarsi una folta schiera di giovani.
Il musicista cosentino ha così dichiarato al nostro giornale: «Sarà un’esperienza positiva, un momento di arricchimento e di orgoglio personale. L’iniziativa, come del resto le precedenti, mi permette di conservare nitidamente la memoria della mia terra d’origine. A dare un particolare fascino all’esecuzione dei vari brani, sarà l’utilizzo di alcuni strumenti propri della musica popolare calabrese. Fra questi, la regina è senza dubbio la chitarra battente. Verranno impiegate anche le tradizionali zampogne, le "pipite", la lira calabrese. Sono certo - conclude l'artista - che i numerosi brani proposti “attarantoleranno” gli spettatori, inducendoli a ballare e a cantare con noi».
Il musicista roglianese ha pure annunciato che è in cantiere il nuovo videoclip “Noi meridionali” in collaborazione con il cantautore partenopeo Eugenio Bennato, con il quale ha intrapreso da anni un’importante cooperazione artistica. Coronavirus permettendo, rimane sulla carta il tour estivo 2020 “Tarantella ca nun và bona”.
Ricordiamo che Sottile nasce a Rogliano nel ’62 e si avvicina da giovanissimo alla musica. A tredici anni, infatti, inizia lo studio della chitarra, della zampogna e della ciaramella, strumenti, questi ultimi due, che inizia a costruire artigianalmente nelle forme più arcaiche. Artista completo nell’ambito della ricerca antropologica musicale del meridione, è pluristrumentista, cultore e cantore delle tradizioni popolari.
La sua discografia comprende 6 cd: nel 2009- “C’è quel sud”; 2010:“Live@Rogliano” – Notte bianca; 2011: “Ex voto”; 2011: “Cantannu e sonannu”; 2012: “Sulle tracce dei terroni”; 2019: “Alchimia popolare”.
Ma da dove nasce la passione di Sandro Sottile per la musica popolare? :«La mia passione - spiega - nasce da lontano, sono proprio i suoni ed i ritmi della musica del sud che mi prendono e che sono fondamentali. Volevo citare alcune collaborazioni importanti che ho intrapreso nel tempo. Ad esempio con Eugenio Bennato, con il quale ho dei rapporti professionali costanti; e, poi, con Tony Esposito, ed ancora con il gruppo musicale “Zona Briganti” e con tutti quei musicisti calabresi con la EMME maiuscola. Un po’ di anni fa ho suonato anche con Danilo Montenegro. Nel 1981 ho fondato il gruppo di musica popolare “Narratiuncula”, con degli amici di infanzia, ed ho iniziato questo percorso musicale che si è protratto nel tempo fino ad arrivare all’ultimo lavoro che ho chiamato “Alchimia popolare”, una sorta di viaggio fantastico, una magia attraverso i suoni del sud. La nascita dell’associazione culturale del progetto “C’è quel sud” - conclude Sottile - si pone come obiettivo di mettere in evidenza la musica della Calabria e le eccellenze, una sorta di rivalutazione degli artisti presenti sul territorio».
Il nostro augurio va a questo formidabile cantautore che, con coerenza rara, ostinazione e coraggio, percorre le strade del sud cantando fatica e dignità, nuovi e antichi soprusi, solidarietà e riscatto.
Nella foto: Sandro Sottile insieme ad Eugenio Bennato

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Moena, il cui nome in latino significa palude, è un paese di circa 2.000 abitanti in provincia di Trento ed è situato in Val di Fassa, a poco più di 1.200 metri d’altezza. In estate è circondato da verdi e fioriti pascoli e in inverno da gruppi dolomitici innevati, come i famosi Sella, Catinaccio e Latemar.
All’alba e al tramonto le cime delle Dolomiti che lo circondano si tingono di rosa: ecco perché questo graziosissimo paesino montano è conosciuto come la Fata delle Dolomiti, nel cuore della Val di Fassa.
Recentemente premiato ai Green Destinations Awards come meta che promuove un turismo sostenibile (il centro nei periodi di alta stagione diventa una zona pedonale con mezzi alternativi di trasporto e numerose e-bike), Moena ha la fortuna di trovarsi ai piedi delle più belle Dolomiti del Trentino.
Qui, in estate, ci si può rilassare con lunghe passeggiate ed escursioni a piedi o in mountain bike, fare un bagno nelle piscine e nelle vasche idromassaggio delle strutture ricettive, oppure shopping tra le botteghe artigiane e i mercatini tipici del centro. E ancora, assaggiare i prodotti locali come il conosciutissimo Puzzone di Moena DOP, il formaggio dall'inconfondibile gusto di erbe degli alpeggi.
La tradizione culinaria ladina qui è vivissima, valorizzata sia dai ristoranti che dagli eventi enogastronomici .
In inverno, invece, è meraviglioso frequentare le piste della “Ski Area Alpe Lusia – San Pellegrino”, un comprensorio sciistico con una funzionale rete di impianti di risalita e piste dagli scenari unici.
Chi invece pratica lo sci di fondo troverà al Centro del Fondo Alochet, a due chilometri dal Passo San Pellegrino, bellissimi tracciati che si snodano tra ampie radure e boschi innevati. Inoltre, è proprio da Moena che parte la famosa Marcialonga di Fiemme e Fassa, la più importante gara di sci di fondo in Italia, che si tiene a gennaio.

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Lucia Lo Bianco è nata il 27 maggio 1965 a Palermo. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne e con un Master of Arts in Professional Development for Language Education, dal 1993 insegna lingua e letteratura inglese al liceo. Poetessa, scrittrice, saggista e giornalista ha pubblicato cinque sillogi di poesie “Le Ali ai Piedi”, 2013; “Il Faro”, 2015; “Il Silenzio del Tempo”, 2020; “Sono una barca” (2021); “Come una libellula” (2021) ed una raccolta di racconti “Le donne lo dicono” (2021) e ha appena completato il suo primo romanzo. Nel 2020 è divenuta Co-Fondatrice di WikiPoesia, Accademica del Convivio ed Accademica di Sicilia. Numerose sue poesie, racconti ed articoli sono stati selezionati per concorsi letterari e si è classificata ai primi posti in numerosi e prestigiosi premi nazionali ed internazionali ottenendo riconoscimenti anche all’estero per poesie scritte in inglese e spagnolo. La vera fonte di ispirazione di Lucia Lo Bianco sono i rapporti umani, l’impegno quotidiano a valorizzare gli incontri, il valore delle piccole cose, la corsa, i rapporti familiari, le difficoltà del vivere, il tempo e il viaggio come metafora e simbolo dell’esistenza. La sua scrittura ha ultimamente assunto una nota più specificamente sociale, trattando temi quali l’immigrazione e la violenza sulle donne. Dalla fine del 2019 con poesie, racconti ed articoli ha totalizzato circa 350 premi in Italia e all’estero.

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Viganella, piccolo borgo di 207 anime della Val d’Ossola, in provincia di Verbano Cusio Ossola, è famoso per una particolarità: resta in totale assenza di sole dall’11 novembre al 2 febbraio di ogni anno. Ciò accade perché il paesino è stato costruito sul versante di una montagna dove la luce solare, durante questi mesi, non riesce ad arrivare. Questa particolare condizione accomuna Viganella al Polo Nord ed alla Siberia: ogni inverno sopraggiunge buio e freddo, spandendo un’atmosfera irreale.
Per secoli gli abitanti hanno saputo adattarsi alla situazione, fino a quando nel 2006, con il supporto di ingegneri e architetti, il sindaco di questo piccolo centro ha deciso di investire per la realizzazione di una superficie riflettente. Uno specchio di 40 metri è stato posizionato a 1100 metri d’altitudine sul fianco della montagna. Lo strumento, in grado di assicurare 6 ore di luce, riesce a far convergere le radiazioni luminose nei punti prestabiliti, come ad esempio la piazza principale del paese, la chiesa parrocchiale o la parte pedonale. Il funzionamento di questo grande specchio, il cui rendimento è maggiore verso mezzogiorno perchè la sua superficie è allineata con la posizione di Viganella, è regolato da un computer durante il giorno. Durante la notte viene riposizionato, in modo che al mattino possa ripartire nella posizione ottimale.


Il “Progetto Specchio”, che ha richiesto un investimento di circa 100 mila euro, ha fatto guadagnare al borgo una fama inattesa ed incrementato il settore turistico. I visitatori, affascinati dagli spettacoli di luce, ne approfittano per visitare le stradine e le piazzette, magari presenziando alla Festa della Madonna Candelora, che si celebra il 2 febbraio dopo i canonici tre mesi di buio.
Il minuscolo centro, contornato da casette in pietra e lesene, funge da attrattiva assieme alla graziosa Parrocchiale della Natività di Maria, seicentesca, fregiante un battistero classico e quadri settecenteschi. Particolare è il campanile dotato di orologio funzionante. 

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Con immenso piacere abbiamo rivolto alcune domande al signor Carmine Altomare, proprietario della "Tenuta Bocchineri", che, con impegno e passione, ha saputo dar vita ad una vera oasi naturalistica. Un habitat caratterizzato da uno splendido percorso nella natura, ove è possibile riscoprire anche la memoria degli antichi mestieri contadini.

- Parliamo della "Tenuta Bocchineri". Come e quando nasce l'idea di realizzarla?
«La "Tenuta Bocchineri" è da sempre una proprietà di famiglia che nel tempo si è ingrandita perchè sono stati aggiunti altri appezzamenti di terreno. Complessivamente è costituita da un'area di circa 3 ettari di suolo e si estende dalla zona adiacente il "Palazzetto dello Sport" di Rogliano, sino a confinare, nella sua parte più estrema, con il fiume Lara».

- Può spiegarci esattamente cos'è? Quali piante ospita? Che tipo di attività sono previste?
«Mi piace paragonarla ad una piccola oasi di pace, a quattro passi dal centro cittadino. Il percorso inizia dal cancello d'ingresso, realizzato da un bravissimo artigiano del paese. Subito dopo ci imbattiamo in un piazzale, fatto di pietre locali, dove è stata collocata una fontanella, ricavata da un tronco di castagno secolare (un tempo utilizzato come mangiatoia degli animali), ed ornata da un monoblocco di granito silano. Vi è anche un piccolo museo della civiltà contadina, con l'esposizione di vecchi attrezzi ed utensili degli antichi mestieri, ed una collezione di vini del Savuto. Nel giardino attiguo richiamano l'attenzione alcune radici di castagno secolare, raffiguranti sembianze di animali, e alcune pietre levigate dal fiume. Nelle vicinanze troviamo una casupola che conserva ancora il suo muro originario esterno. Al piano inferiore vi è un locale, anticamente utilizzato come pollaio, trasformato in una piccola cantina che ospita una "riempitrice", un utensile antico e raro che un tempo serviva per riempire le bottiglie di vino. All'interno sono custoditi anche altri attrezzi, tra cui la pompa a spalle di rame, che veniva utilizzata per dare il solfato alle viti. Nella tenuta troviamo alcune piante tipiche delle nostre zone montane, come la quercia secolare, che ha tutte le caratteristiche per essere denominata "albero monumentale", ed il "nespolo germanico", un albero assai raro, unico della specie in tutto il bosco». 

- Ci sono delle cose che lei, come proprietario di questa oasi naturale, vorrebbe venissero effettuate? Alcuni miglioramenti? Quali sono i suoi progetti futuri?
«Sarebbe utile che la fruizione di siffatti percorsi naturalistici e storici potesse avere scopi didattici ed educativi. L'idea di fondo è quella di salvaguardare gli habitat naturali, utilizzandoli in modo appropriato e valorizzare le nostre tradizioni come salvaguardia e promozione della memoria. Auspico che le scuole e le altre agenzie educative promuovano e sensibilizzino gli uomini e le donne di domani perchè com'è noto: "non si può parlare di futuro e presente se non si conosce il nostro passato". Eventuali miglioramenti possono avvenire se si costruisce una sinergia tra tutti gli attori del territorio, perchè l'azione individuale resterebbe costosa per chiunque e richiederebbe tempi lunghi per la realizzazione di qualsiasi progetto. Per quanto mi riguarda, resto a disposizione di chiunque volesse visitare gratuitamente la tenuta ed eventualmente estendere la passeggiata lungo un sentiero che conduce ad un mulino di antiche fattezze».

- Qual è il messaggio indiretto che il grazioso museo della civiltà contadina vuole trasmettere?
«Il museo, come le altre attrattive della tenuta, ha insito lo scopo di riscoprire le nostre tradizioni, i mestieri e, quindi, le nostre origini, nell'ottica di far conoscere ai giovani d'oggi la realtà di un tempo passato che rischia di essere dimenticata e, quindi, mortificata».

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Rosanne Donatiello nasce in Germania nel 1975 da genitori italiani. Si trasferisce in Italia a pochi mesi dalla nascita, in un piccolo e grazioso paesino situato ai piedi di una montagna, Foglianise, in provincia di Benevento, dove vive tuttora.
La sua opera prima è stata "Una Goccia di Me", Edizioni Pensieri e Parole, una raccolta poetica in retrospettiva dove dare vita ai suoi versi sono stati il cuore.

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PREMI E RICONOSCIMENTI
Con il libro “Una Goccia di Me” ha ottenuto il primo posto nella sezione libro edito al Concorso letterario nazionale “Il Sabato del Villaggio 2017”;
con La Poesia “Ma è Natale e tu sei qui con Me” si classifica al primo posto nella sezione Magia di Natale al Concorso letterario nazionale “Il Sabato del Villaggio 2017”;
con la lirica “Il sentiero dei ricordi” si classifica seconda nella sezione Primavera al Concorso Lettrario “Persephone Fiori di Poesia 2018”.

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Il campanile sommerso della vecchia chiesa di Santa Carerina è una delle meraviglie italiane da vedere almeno una volta nella vita. Situato in Trentino, quasi al confine con l’Austria, sembra spuntare dal nulla dalle acque del lago Resia, e dona ai nostri occhi uno scenario fiabesco e affascinante. In realtà esso cela la triste storia di un paese cancellato. La torre campanaria, datata 1357, è tutto ciò che resta di Curon Venosta (Bolzano), un paesino completamente allagato nel 1950 per creare il bacino artificiale atto alla produzione di energia idroelettrica. Gli abitanti fecero di tutto per impedirlo ma l’acqua invase case e terreni coltivati, risparmiando solo il campanile. Centinaia di famiglie furono, così, costrette ad abbandonare le loro case e a trasferirsi in altre abitazioni, qualche chilometro a nord, dove il paese venne ricostruito.
E oggi il campanile è ancora lì, a ricordare questa tragica pagina della storia locale.
Le campane non ci sono più dal 1950, ma qualcuno giura di sentirle ancora suonare nelle notti fredde invernali
Il panorama è insolito, a tratti malinconico. D’inverno diventa magico quando il lago è ghiacciato ed il campanile è raggiungibile a piedi. Si possono praticare anche alcuni sport invernali come lo sci da fondo, il pattinaggio e, grazie a venti forti e frequenti, lo snowkiting e la slitta a vela.

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Alessandro Porri nasce a Roma nel 1966 città dove ancora vive. Infermiere da oltre trenta anni in un Servizio per le tossicodipendenze ed alcolismo. Ama ogni forma di arte che gli possa permettere di far venir fuori il suo mondo interiore spesso interessato ed intriso di problematiche sociali ma anche capace di intimi passaggi in mondi di bellezza e fantasia. Ha studiato pianoforte, dipinge da sempre, frequenta una scuola di recitazione, scrive dall’età di venti anni. Si cimenta in ogni forma di scrittura, ha pubblicato tre romanzi, una silloge poetica, un quarto romanzo ha vinto la pubblicazione ed andrà in stampa a breve. I suoi scritti: fiabe, poesie, racconti, aforismi sono presenti in oltre cento antologie a carattere nazionale. Interessato ai giovani effettua presso le scuole incontri di prevenzione sulle sostanze stupefacenti a cui alterna con apparente naturalezza incontri di poesia. Collabora dal 2020 con il giornale on line “La voce agli italiani” Ha partecipato e partecipa a premi e concorsi letterari riscuotendo spesso successi.

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Santina Paradiso è nata a Gangi, in provincia di Palermo, dove ha vissuto per 29 anni, fino al trasferimento a Mazzarrone, in provincia di Catania. Si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo ed è iscritta in Storia presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne di Messina. Ha frequentato un corso triennale di studi teologici presso la Scuola Teologica di Base “Innocenzo Marcinò” della Diocesi di Caltagirone. Ha esercitato la professione di avvocato ed ha svolto le funzioni di Vice Procuratore Onorario della Repubblica. In atto svolge funzioni dirigenziali e di Vice Segretario presso il Comune di Mazzarrone. Sin dal 1991 ha intrapreso studi e ricerche di storia locale e sulla figura di don Luigi Sturzo. Accademica e cultrice della tradizione popolare ha pubblicato un poemetto e Saggi vari, collaborando per riviste e periodici, quali “La Croce di Costantino” e “Sintesi”, e a varie pubblicazioni. Si è dedicata inoltre alla memorialistica, alla narrativa e alla poesia. Le sue poesie e racconti, sia in lingua che in vernacolo, sono pubblicati in diverse Antologie:

Pubblicazioni e curatela dei seguenti volumi:
- Mazzarrone, Un comune giovane tra gli Erei e gli Iblei - CUECM, Catania 1995, pagg. 333;
- Parrocchia San Giuseppe Mazzarrone, abhinc centum annos, Un secolo di fede, storia e tradizione 1908-2008, Ragusa 2009, pagg. 526, imprimatur alla stampa e alla pubblicazione della Diocesi di Caltagirone.
- Le grandi meraviglie dei nostri piccoli comuni - Storia, Tradizione e Cultura del Calatino Sud Simeto (curatela) nell’ambito dell’omonimo progetto sovracomunale promosso dal Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’ANCI.
- C’era una volta il pane. U pani i casa i na vota a Ganci – Ed. Arianna, 2015.
- Fuoco sul ghiaccio. Dall’inverno all’inferno. 1942-1945, Grafiche Cosentino s.a.s. di E. Cosentino & Co., Caltagirone, 2017.
- Appendice al libro L'amore è il peso che dà il moto all'anima di Francesco Paolo Pinello - Lampi di Stampa 2015.
- Saggio su Mazzarrone nel volume Le chiese matrici della Diocesi di Caltagirone, Autori vari, a cura di don Vito Valenti, 2017.
Riconoscimenti e premi letterari:
- Premio dell’Accademia Internazionale “Città di Roma – Regione Sicilia – 2° Trofeo Sicilia 1998, quale operatore culturale.
- “Ambasciatrice della Cultura” conferito dal Comune di Mazzarrone, Anno 2009.
- E’ risultata vincitrice in vari concorsi letterari nazionali ed internazionali di poesia e di narrativa.

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MIO PAESE

Mio paese antico verso il cielo proteso
di fragranze arboree e di colori acceso
di ortensie e di gerani infiorato
di menta e di violacciocche profumato.

Mio paese dal terrazzo prospettato
ove l’occhio spazia e si bea incantato
per valli e per declivi allargati
e su distese di tetti anticati

orlati di sassi in allineamento
su cui s’infrange il vento
mentre campanili gotici e barocchi
scandiscono i rintocchi.

Mio paese dove il tempo è ritrovato
il passato sulla pietra è segnato
il giorno fluisce lento alla sera
in una silente e mitica atmosfera.

In te annego nel verde di un prato
nel rosso del fieno non ancora falciato
nel giallo di spighe dorate
nell’intenso colore di terre arate.

Mio paese d’autunnale brezza
con la nebbia che i comignoli carezza
e lucida le basole di viuzze addentrate
strette, tortuose e acciottolate.

Al viale di foglie un manto
ma sotto la neve un incanto
con i fiocchi che danzano attorno
mentre il pane cuoce nel forno.

Quando arrivo alla tua frescura
già dall’angolo dopo l’altura
mi inviti e mi sorridi grato
ridente e immutato.

Come una volta unico ti sveli
nell’aurea cosmica avvolto di veli
e di silenzio surreale
accoccolato sul monte, speciale.

In un afflato trova valore
il senso di appartenenza con ardore
e il forte senso di identità
in cui è radicata la comunità.

In te mi ritrovo e mi abbandono
e riscopro quel che sono
perché i miei luoghi ce li ho dentro
rivoli che solcano l’anima al centro.

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Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, è stata soprannominata la “città che muore” perché lo sperone di tufo a cui, con ostinazione, si è “aggrappata” si sta letteralmente sgretolando sotto il centro abitato. Una città “viva per miracolo”, che tra qualche decennio potrebbe scomparire per sempre.
Il borgo si presenta collegato al territorio circostante da un lungo ponte sostenuto da moderni tralicci. Esso può essere percorso soltanto a piedi ma, recentemente, il comune di Bagnoregio, venendo incontro alle esigenze di chi ci vive (una decina di persone) o vi lavora, ha emesso una circolare in cui dichiara che, in determinati orari, residenti e persone autorizzate possono attraversare il ponte a bordo di cicli o moto cicli.
Fortunatamente, un flusso turistico cospicuo e sempre crescente, anche di provenienza straniera, ha riportato grande vitalità all’antico villaggio. Quest’ultimo, recuperato nel suo aspetto originario, pian piano si sta ripopolando ed è ormai una consolidata meta turistica della regione Lazio.
Il borgo, fondato 2500 anni fa dagli Etruschi, sembra un luogo incantato dove il tempo pare essersi fermato. E passeggiando tra le strette viuzze, un vero e proprio dedalo fatto di spazi inconsueti, antichi palazzi e scorci panoramici, ci si imbatte in numerose botteghe artigiane, in cui si può entrare per assistere agli antichi mestieri.
Fra le principali attrattive, citiamo la Grotta di San Bonaventura, che in realtà è un’antica tomba etrusca. Secondo una leggenda, vi sarebbe avvenuta la guarigione miracolosa di un bambino – il piccolo San Bonaventura – per mano di San Francesco. Da non perdere è anche la Chiesa romanica di San Donato, eretta nel quinto secolo. Il grande restauro, avvenuto nel 1511, ne ha cambiato profondamente l’aspetto con l’inserimento di elementi rinascimentali. Degno di nota è lo stupendo portale centrale realizzato nella prima metà del ‘500. Molto interessanti anche le opere d’arti presenti all’interno, fra cui un ciclo di affreschi di artisti della scuola del Perugino ed un crocifisso ligneo del 1400.
Al tramonto, questo bellissimo luogo, si colora di strane tonalità, offrendo curiosi giochi di luci ed ombre tra gli affilati crinali e la rada vegetazione, e formando un quadro paesaggistico ancor più surreale.
Bagnoregio diventa veramente magico in occasione del presepe vivente che anima il borgo. E pare di venir catapultati nel medioevo quando le strade del paese si animano di comparse che fanno rivivere le antiche botteghe, ricreando la quotidianità che riporta i turisti indietro nel tempo. 

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Ho sempre amato comporre poesie, lettere, racconti ed ho racchiuso una parte dei miei scritti nel libro “Emozioni”, mia unica esperienza editoriale voluta per poter lasciare un ricordo alla mia famiglia.
Scrivere mi piace perché mi permette di dar vita ai miei pensieri, con la speranza che possano restare nel cuore delle persone che hanno fatto parte della mia vita.
Spesso ripenso ai miei genitori con gratitudine perché mi hanno saputo trasmettere l’amore per ogni forma d’arte. Ora, insegnante in pensione, posso dedicare maggior tempo alla scrittura ed alla fotografia.
Mi sento attratta dal componimento “haiku” che compongo spesso cercando di camminare pian piano sulla “Via dello haiku”.
Ho partecipato a vari Concorsi Letterari ricevendo riconoscimenti gratificanti.

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Teresa Colacino nasce a Motta Santa Lucia, un paesino collinare in provincia di Catanzaro. All’età di 20 anni si trasferisce a Milano, città che le permetterà di costruirsi la sua futura famiglia. Ed è proprio nel capoluogo lombardo che inizia il suo lavoro di insegnante, che svolgerà per circa 30 anni. Attualmente è in pensione ma coltiva la passione della sua vita: scrivere poesie. Da alcuni anni collabora con il gruppo letterario “Apri il cuore alla poesia”,, dove ricopre la carica di Presidente di giuria nei concorsi letterari promossi dal medesimo gruppo, ed è socia della neo associazione culturale “Atlantide – Centro studi nazionale per le arti e la letteratura“.
Tema dei suoi scritti è l’amore che alterna alla nostalgia per la sua terra natia o ad esperienze di vita personale, sovente arricchite e colorate dalla fantasia. Oltre alla scrittura, pratica l'hobby per il ballo, in particolare il tango.
La sua vita è una lunga ricerca per ogni forma d’arte, interesse che le arricchisce la quotidianità.

 

 

 

VI PORTO NEL CUORE

Era il saluto per un membro
della Società, una tromba
suonava il Silenzio,
avvertiva che un socio ci
lasciava ed io ero triste,
una lacrima amica scendeva
sul viso.
Ricordo di ognuno la sua
storia .
In Autunno, il giorno dei morti
mi reco al cimitero e rivolgo
un saluto a questa schiera
d’Angeli in cielo, perché chi
resta solo, non è un emarginato,
anch’egli ha bisogno
d’esser ricordato.
Il Silenzio, non mi è indifferente,
tra i soci ci sono
amici e parenti.
Vi porto nel cuore
e di ognuno di voi
ricordo la storia.

 

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ALLA RICERCA DELL’AMORE VERO

Uccelletto che vieni dal bosco, che salti
di ramo in ramo, mi porti la bella notizia
che hai incontrato il mio amore.
Lo hai riconosciuto dai modi gentili,
è un galantuomo.
Un saluto lo dà a tutti, usa buone maniere.
La sua voce ha toni leggeri, non mette paura.
Uccelletto che vieni dal mare, che voghi,
che voghi, mi porti la bella notizia
che hai incontrato il mio amore,
lo hai riconosciuto dai muscoli forti,
rema da mattino a sera
e quando a casa ritorna
è forte e robusto come un eroe.
Uccelletto che vieni dai monti
che cavalchi robusti cavalli,
mi porti la bella notizia
che hai incontrato il mio amore.
Lo hai riconosciuto dal bel portamento,
è un cavaliere, cavalca per monti e valli
per venire da me.
Son belli, son bravi, son buoni,
ma a me ne basta uno, se incontrerai un uomo:
gentile, forte, di bell’aspetto , che sappia amare,
allora è quello che fa per me.

 

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DONI PREZIOSI

Nei cassetti dei miei
doni preferiti, ritrovo
la collana del battesimo:
“La Madonna col bambino
che mi regalò la mia madrina”.
La conservo rigorosamente,
in ricordo del mio primo sacramento.
Gli orecchini che mi regalò
la mamma quando, ancora
piccolina, mi bucarono le orecchie
con un ago e un filo di seta.
Mamma mia, che dolore,
lo ricordo ancora!
L’orologio d’oro per la
cresima e la fede nuziale,
quando vestita di bianco,
mi unii in matrimonio.
Tutti ninnoli preziosi che
indossai in ogni occasione.
In un cassetto tutto vuoto
riposi il dono più prezioso,
non si vede, ma nel cuor
si sente per sempre:
“L’amicizia vera”.
Chi trova un vero amico,
ha un tesoro.

 

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